Tutto era buono per salvarci. Un buco, una tana, un sottoscala, un armadio o il porcile.
Il rimbombo delle cannonate entrava nel monastero come una sciagura cittadina, che rincupiva per il porticato e si schiantava sull'alto della muraglia in fondo, come un immenso piatto di rame che andava in frantumi.
Ero riuscito ad accovacciarmi sull'ultimo scalino della cantina, ove trovai due frati laici che tremavano come foglie. Dopo di me discesero due altri mendicanti. Nessuno di noi fiatava. Il cannone pareva che avesse cessato. Non si sentivano più che fucilate che rumoreggiavano in varie direzioni. Un minuto dopo udivamo i soldati che sacramentavano per i portici, dicendo parole che la mia bocca educata non può ripetere. Confesso che il minuto ci parve un secolo. Avevamo paura che i fucili ci ammazzassero giù al buio come tanti conigli. Eravamo così appiattati l'uno addosso all'altro, quando una voce dall'alto della scala ci gelò il sangue nelle vene.
- Arrendetevi! Arrendetevi!
Con la voce si faceva sentire una spada sguainata che percoteva il muro.
- Arrendetevi!
Era un capitano che discendeva, accompagnato da parecchi soldati che avevano il fucile con la baionetta inastata.
- Arrendetevi!
Mi feci coraggio e risposi:
- Cosa vuole che "rendiamo", signor capitano? Semm tutt poveritt.
Il capitano mi prese per un braccio e mi trascinò su per la scala, buttandomi in mezzo agli altri già stati radunati sotto il portico in mezzo a un nugolo di soldati.
Intanto soldati e superiori frugavano il convento dal soffitto alla base.
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