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      Snidavano quelli che erano riusciti a trovare un nascondiglio e cercavano le armi. Noi eravamo stati palpeggiati fino ai capelli, e per fortuna nessuno di noi aveva in saccoccia un coltello.
      A intervalli di minuti, alcuni soldati venivano con qualche frate o qualche pidocchioso che avevano scovato in una parte recondita dell'edificio.
      Una volta che fummo tutti sotto il portico, ci si ordinò di andare in Chiesa. I frati laici erano dietro i padri. Noi eravamo in coda a tutti.
      Colui che aveva dato il comando era un ufficiale più che energico. La sua voce faceva accapponare la pelle e le sue parole passavano nelle orecchie come potenti schiaffi.
      Entrando in chiesa, sentii uno sparo di fucile. Mi pare che venisse dalla stanza attigua al coro. Lo hanno udito anche quelli vicino a me. Ma, come ho detto, nessuno di noi aveva la testa a segno. Eravamo terrorizzati e potevamo benissimo scambiare una fucilata per una cannonata.
      Entrammo in coro come gente che va al patibolo. Chi piangeva dirottamente, chi singhiozzava in un modo da rompere il cuore, chi raccomandava l'anima a Dio e chi mormorava preci con le mani giunte o coi polsi incrociati e le mani piatte sul petto. Le donne tenevano fra le braccia i bimbi come una preghiera.
      I soldati erano sfilati dinanzi a questo esercito di piangenti col fucile a baionetta in canna puntato verso il loro petto. Ciascuno di noi aveva paura che un grido, un gesto facesse prorompere tutte quelle bocche di fuoco in una volta sola. Io sono un povero infelice senza colori sulla tavolozza.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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