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      Capii ch'egli era il padre vicario. La cella di ogni padre ha un motto stampato su una striscia di cartone inchiodata all'uscio.
      Quello del padre vicario è questo: Si omni anno unum vitium extirparemus, cis viri perfecti efficiemur: se ogni anno estirperemo un vizio, diventeremo, quaggiù, uomini perfetti.
      La cella numero 3 del padre Isaia - come quella di tutti gli altri inquilini del convento - non ha spazio che per una persona. Si entra uno dietro l'altro. La finestra che dà sull'ortaglia è in faccia all'uscio. A sinistra, è un lettuccio di acero con un semplice pagliericcio poco soffice, nascosto sotto una coperta di lana colorata. Ai piedi del letto, è un inginocchiatoio, con lo schienale sormontato da un'asse lucida e giallognola come il resto che serve da leggio o da tavolo di lavoro. A destra è un piccolo scaffale, pieno di libri religiosi, agganciato alla parete.
      Intanto che il padre Isaia sfogliava il libro che gli avevano portato, io pensavo alle due baionettate che aveva ricevuto senza punto accorgersene. Non era uno smemorato, non aveva perduto la conoscenza né prima né dopo l'avvenimento; era rimasto calmo anche quando era stato adagiato nel letto dell'Ospedale Maggiore, e tuttavia non sapeva spiegarsi come le baionette gli fossero entrate nelle carni e lo avessero inondato di sangue.
      - Proprio, padre vicario, non avete sentito né dolore, né il freddo dell'acciaio che penetrava nel corpo?
      - Non ho sentito nulla, proprio nulla. Mi sono sentito spossato solo vicino alla breccia.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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