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      Il cappuccino rimase pensoso. Pareva che non avesse voglia di rimestare il passato. L'esitazione non durņ che pochi secondi.
      Egli si convinse che non poteva tacere. La storia č storia, e nessuno ha diritto di sopprimerla.
      - Io parlo pro veritate. Quando entrarono i soldati mi trovavo nella stanzettina vicino alla postierla d'entrata a lavare la ferita alla gamba di un pitocco, che non aveva potuto finire di mangiare la minestra. Gliela fasciai in fretta e in furia per impedire l'emorragia e poi uscii con la bottiglia dell'aceto in mano. L'invasione militare dopo le cannonate non mi poteva sorprendere. Deposi la bottiglia sul murello dei vani tra le colonne del portico, voltai a destra e tentai di raggiungere la testa dei soldati - che andavano in su, all'impazzata, coi fucili e le baionette in canna puntati verso il petto dei poveri diavoli ch'essi credevano rivoltosi - per assicurare l'ufficiale che li comandava che in convento non c'era anima viva, tranne i frati e i poveri venuti a mangiare la minestra. I soldati era eccitati. Schiamazzavano e dicevano parole ingiuriose.
      - Per esempio?
      - Non posso ripeterle.
      - Ripetetele, padre, in nome della storia!
      Non ci fu verso di fargliele ripetere.
      - Per istornare qualche terribile eccidio, pensai di parlare al primo ufficiale che mi fosse capitato, vedendo che i soldati correvano con gli occhi smarriti, terrorizzati.
      - Ritornai verso la stanzuccia, dove avevo lasciato il ferito, e mi imbattei appunto in un ufficiale che stava in coda ai soldati, e mostrandogli la caldaia della minestra lo pregai che non facesse alcun male a quei poverelli che erano venuti per sfamarsi.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302