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      Se mi ricordo bene, era un tenente. Mi guardò in faccia come per scovare il ribelle e poi, con un "frataccio cane!" mi agguantò per il collo della tonaca e mi piantò la canna del suo revolver al ventre. Forse sarà stata la mia impressione. Mi pareva che il suo dito cercasse il grilletto. Col coraggio della gente che difende la propria esistenza, gli contorsi la mano e lo costrinsi a mettere la canna nel vuoto. Egli si mise a scuotermi senza mai abbandonare il colletto della veste e con dei continui tentativi di rimettermi l'arma nella posizione di potermi uccidere. Si trattava della mia vita e io gliela contesi con tutte le mie forze.
      - Permettetemi, padre, di stringervi la mano.
      Io avevo bisogno di una pausa per sottrarmi alle sensazioni dolorose.
      - Il tenente insisteva ed io non abbandonavo mai la canna.
      - Mi bruttava di villanie e io gli rispondevo che si sbagliava e che non ero un "frataccio cane". Per il collo della tonaca egli mi trascinava sempre verso l'uscita. Io pensavo in quel momento che egli volesse condurmi nel cortile e farmi fucilare dai soldati.
      - Signor ufficiale, gli dissi, non mi faccia questa figura. Se vuole uccidermi mi uccida qui subito, senza condurmi di fuori. Sarebbe uno strazio inutile. Se devo morire, è meglio che muoia nella casa dei miei fratelli.
      - Io pregavo, e l'ufficiale, invece di darmi retta, mi scoteva e mi trascinava a colpi per il cortile. Mi credevo perduto.
      - Il suo pensiero doveva essere quello di farmi ammazzare dai soldati. Senza mai abbandonare la canna del revolver, cercavo di proteggere il mio col suo corpo.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302