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      E lui, l'ufficiale, impiegava tutti i suoi sforzi per mettermi alla mercè dei fucili.
      - Giunti al fianco della breccia, egli fu lì lì per finirmi.
      - Io gli dissi che infine non ero che un povero frate stato colto a medicare un ferito.
      - Creda, signor tenente, che nel convento non ci furono mai nè insorti, nè armi da fuoco.
      - Passò nella sua mente un dubbio? Non ve lo saprei dire. La verità è che le sue parole mi rivelarono ch'egli mi stava proprio mandando all'altro mondo.
      - Con disprezzo, come quando si abbandona un nemico indegno perfino dell'ultimo supplizio, mi disse:
      - Per questa volta ti perdono!
      - Con una fiatata che riassumeva il sacrificio che compiva, mi buttò per il buco della breccia, chiamando i soldati. Stramazzai bocconi, colle mani che mi salvarono la faccia. Alzandomi vidi che il mio piede era insanguinato. Non mi allarmai, perché supponevo il sangue uscito dalla scorticatura che mi feci cadendo.
      - Fuori della breccia è stato uno spavento. Ogni soldato aveva una sudiceria da buttarmi in faccia: e quello che mi fece più pena, fu di veder un maggiore, credo, d'artiglieria, alto, magro, ruvido, che portava appesa all'occhiello una lente (caramella), il quale, incontrandomi sul piazzale Monforte, alla preghiera di rimandarmi libero perché ero innocente, con burbero cipiglio mi minacciò con la mano in aria un manrovescio, e... Il mio contegno di frate che non aveva paura di morire non aveva presa su di loro.
      - Figlio di p...!.
      - Consegnatelo - disse ad alta voce il superiore ai soldati al di là della breccia - agli alpini.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Monforte