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      - Non ci sono stati altri frati, padre vicario, all'Ospedale?
      - C'è stato frate Alessandrino, il vecchietto che le ho fatto vedere dabbasso.
      La nocca di qualcuno ci interruppe.
      - Ave - rispose padre Isaia.
      Entrò un frate laico a portargli un piego suggellato.
      Mi voltai dalla parte della finestra a schizzare il frate laico Alessandrino, col quale avevo parlato più di una volta.
      È un ometto di settanta e più anni, mingherlino, ha la faccia lentamente consumata dai digiuni, con gli occhi celesti nelle occhiaie vizze, con una punta di barba grigiastra al mento e dei peli dello stesso colore disseminati per il labbro superiore. È ammalato da un pezzo, passa il tempo tra un'orazione e l'altra, pregando il signore di volergli bene.
      Il giornalista lo spaventa più del diavolo. Mi vedeva e scappava. Un giorno che mi aveva sorpreso col lapis e il note book in mano, corse ad inginocchiarsi all'altare in coro e ritornò una ventina di minuti dopo a pregarmi di non fargli del male, di lasciarlo stare, perché lui aveva bisogno, per la sua salute, di una grande quiete, e a scongiurarmi in nome del Signore Iddio, di non metterlo sul giornale, perché lui, dopo tutto, non sapeva nulla, non aveva fatto nulla e non voleva dir nulla. Era un uomo che aveva paura, che si spaventava per delle inezie e che godeva la pace del coro, quando era vuoto. I soldati lo facevano rabbrividire solo a pensarci. Non appena li seppe nel convento, scomparve dietro il coro, passò in chiesa e passò sul pulpito, rimanendovi appiattito sotto la croce, senza quasi respirare, per timore di farsi sentire.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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