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- C'era anche il tenente che lo aveva trascinato e buttato attraverso il buco della breccia?
- C'era, e mi sembrava alquanto mortificato...
Si bussò un'altra volta all'uscio.
- Ave.
L'APPELLO DEI SOLDATI
Dieci maggio. Sono in piedi di buon mattino. Ho buttato giù alcune note inaffiate di sangue e sono uscito. Il sole è rutilante. Questi fasci di luce calda mi fanno male. Vorrei che lo stesso cielo fosse annuvolato come il mio cervello. Io sono tetro, sono triste, sono un funerale. Darei dieci anni di vita per dimenticare di aver vissuto ieri. A ogni passo il lunedì mi risorge nella testa affollata di cadaveri e dilagata di sangue.
Le muraglie sono tappezzate di decreti di Bava Beccaris. I "Vogliamo" di Napoleone I sentono del genio dell'autore. I suoi proclami sono modelli di stile vigoroso. È tutta una prosa, la prosa napoleonica, che si legge con ammirazione anche a tanti anni di distanza. La prosa di Bava Beccaris è piena di solecismi volgari. È prosa piatta e amanuense. Quando mi parla di provvedere alla "confezione del rancio giornaliero", mi pare di essere a tu per tu con uno speziale di campagna abituato a "confezionare" il lattovario, o alla presenza di una sarta, "confezionista" d'abiti. Questo "appello" per domandare gratis o con buoni a "richiesta" la "concessione temporanea delle cucine e di quanto occorra per la cottura del vitto", è un altro documento della sua buaggine e del suo cuore. Questo imbecille si crede assediato dagli insorti. Non si ricorda di ieri che per i soldati.
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