Lungo il passaggio tra un cortile e l'altro, v'era sempre folla. In quello ducale, era una siepe di ufficiali che amavano vedere da vicino queste persone pubbliche che avevano scritto delittuosamente nel giornale socialista, repubblicano, radicale, liberale, cattolico. In quello della Rocchetta, era la moltitudine, composta di curiosi, di amici, di preti, di soldati, che sgomitava per mettersi in prima fila a vedere, salutare, commuoversi, piangere. Si vedevano persone che si tergevano le lagrime col dorso della mano, persone che agitavano il cappello per dir loro: coraggio! e persone che levavano in alto le mani giunte per tradurre la loro desolazione.
La prima volta che riattraversavano il cortile della Rocchetta per salire a colazione, vi fu un fotografo che sentiva indubbiamente la prepotenza della funzione del giornalismo moderno di riprodurre la vita sociale illustrata. Si staccò da un capannello e si presentò colla sua macchina sullo stomaco dinanzi i primi due dei ventiquattro, i quali erano il direttore del Secolo e il direttore dell'Osservatore Cattolico colle mani legate assieme. Romussi si mise un braccio attraverso il naso e don Davide si tirò il cappello sugli occhi voltandosi di fianco - entrambi per tradurre la loro indignazione e per impedirgli di esercitare la sua professione. Anche adesso che correggo le bozze mi duole di questo loro scatto antigiornalistico. Perché ci hanno soppresso uno dei documenti più preziosi delle giornate di Bava Beccaris. Se fossi direttore di giornale vorrei che tutti i miei corrispondenti avessero l'audacia del fotografo giornalista.
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