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      Allora sarei sicuro che il mio quotidiano sarebbe il primo quotidiano d'Italia.
      Tra la folla degli avvocati accorsi a dare l'ultimo addio ai condannati, si distingueva il Majno che camminava con l'ombrello in una mano e il cappello nell'altra, salutando dappertutto: "Addio, Chiesi, ciao, Federici, coraggio, Romussi, sta allegro, Valera, arrivederci presto, don Davide, ecc.".
      Nei suoi addii era lo strazio di un avvocato e di un amico reso impotente dalla legge marziale.
      Questa traversata fu un attimo solenne, indimenticabile che fece piangere più di uno dei diciannove che ritornarono in camera carichi di mesi e di anni.
      La Kuliscioff non ha mai partecipato a questi strazi e a queste consolazioni, perché la sua residenza rimase sempre al Cellulare. Ne veniva e vi ritornava in brougham, vestita di nero come un funerale.
      Il suo contegno è stato di donna equilibrata. Nelle poche parole che le si permise di dire, non si occupò che delle sue idee marxiste. Il resto sembrava per lei estraneo. Di tanto in tanto si assentava per fumare una sigaretta.
      D'altronde, non era la prima volta che essa passava delle giornate in prigione. Era già stata nelle carceri parigine e poi per più di due anni nelle prigioni d'Italia.
      Poche ore dopo la sentenza, gli anarchici vennero mandati a Finalborgo, e i giornalisti partirono il giorno seguente, cioè alle 11 della sera del ventitrè.
      Alla Stazione Centrale, c'era una folla enorme ch'era riuscita a sapere l'ora della partenza. Ma i carabinieri fecero entrare i condannati dalla parte opposta - evitando di passare sulla prima piattaforma, piena di amici che volevano salutarci.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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