Era troppo tardi. Il ristorante era chiuso e il treno stava per partire.
- Addio e coraggio! ci disse lo sconosciuto con degli altri singhiozzi.
Lungo questo viaggio indimenticabile ci domandavamo di tanto in tanto l'un l'altro se eravamo vivi.
Chiesi: Come stai, Fritz?
Federici: Bene.
- Don Davide, dormite?
- Magari potessi dormire!
- Romussi, come ti senti?
- Maledettamente male. Non avrei mai creduto che il trasporto dei prigionieri fosse fatto in questo modo. Siamo trattati peggio delle bestie.
- Pazienza, che non siamo lontani da Sampierdarena.
Guardando nelle celle della fila opposta mi si agghiacciava il sangue. La testa dei cellularizzati che ubbidiva al moto del treno si delinquentizzava in un modo spaventevole. Pareva la testa di un mostro. Illuminata dalla luce fosca che tremolava, assumeva proporzioni spaventevoli. La fronte si allungava sovente con delle gibbosità che facevano abbassare le palpebre dalla paura. Gli occhi ingrossavano e venivano alla superficie con una luminosità feroce. La bocca, sbadigliando, spalancava un abisso circondato da una dentiera enorme che digrignava come quella di un teschio appeso nella penombra.
Lazzari sembrava una iena in agguato.
Lungo le gallerie avevamo il fumo della macchina che entrava nelle celle a volumi a ubriacarci e ad avvelenarci le ultime ore.
- Signori carabinieri, un po' d'acqua. Io muoio dalla sete!
A Sampierdarena il cuore del brigadiere si lasciò intenerire dalla voce piangevole dei condannati.
- Ci faccia dare un caffè, signor brigadiere.
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Fritz Davide Sampierdarena Sampierdarena
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