Don Davide ebbe delle ritrosie. Egli non seppe decidersi a liberarsi degli ultimi indumenti che quando la guardia si rassegnò a voltare la faccia dall'altra parte.
FILIPPO TURATI
Il criterio nostro è questo; ogni provvedimento sarà vano se non sia assicurata al Paese piena ed intera libertà: libertà di propaganda, di pensiero, d'associazione, d'organizzazione, a tutte le classi della società.
((Dal primo discorso alla Camera).
L'ho conosciuto nell'ottanta o nell'ottantuno. Io caricavo l'appendice della Plebe di Bignami della zavorra umana che scovavo e raccoglievo negli angiporti e nelle stamberghe, e lui riempiva le colonne di una terapeutica che inchiudeva, colle spinte e controspinte romagnosiane, i germi della giustizia sociale. Era forse la prima volta che la democrazia adulta leggeva in un giornale socialista che la questione criminale è intimamente connessa colla questione economica. Con un centinaio di pagine intitolate Il delitto e la questione sociale il Turati si rivelava un naturalista della scienza penale, un verista che studiava oggettivamente l'uomo delinquente, un sociologo che accusava la società di essere "complice impune dei misfatti che freddamente puniva". Egli credeva fino d'allora che l'ordinamento punitivo fosse essenzialmente transitorio e che il delitto troverebbe la sua cura in uno Stato che volesse "a tutti garantito il frutto integrale del proprio lavoro".
Il suo cruccio erano i suoi nervi. I nervi non gli davano requie. Non lo lasciavano dormire, non lo lasciavano lavorare e gli distruggevano il pensiero di prepararsi un futuro intellettuale.
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