Egli si diceva sfibrato, fiacco, senza attivitą cerebrale. Doveva morire. Sarebbe morto fra due o tre anni o fra due o tre mesi, non lasciando di sč che "misere strofe" ai suoi cari. Tutti i medici l'avevano abbandonato. Egli era un nevrastenico. La sua era una nevrosi inguaribile. Pazienza. E ci salutava commosso e ritornava, sfiduciato, alla sua villa di S. Croce, a due passi da Como, colle tasche e le valige piene di libri che aveva comperato dal Dumolard o che gli aveva dato a prestito il suo e il mio amico intimo Felice Cameroni - il critico che aveva incominciato a predicare lo zolismo nell'appendice del Sole.
Durante questa battaglia accanita tra lui e il suo sistema nervoso egli, come il dott. Pascal, si preparava silenziosamente i dossiers coi quali avrebbe poi intrapresa la campagna per liberare la societą borghese dalle sofferenze sociali. Condannato da una malattia implacabile, consumava le sue ultime ore nel laboratorio della putredine sociale a cercare i parassiti distruttori che saccheggiano l'organismo umano. Morente, sentiva, come Pascal, la voluttą e la grandiositą della vita, della vita sana, economicamente e moralmente sana. Oui, je crois au triomphe final de la vie.
Egli leggeva, postillava, ammucchiava note sopra note e maturava nel cervello allargato dallo studio febbrile la rivista alla quale diede poi tutta la sua intelligenza.
Con la tendenza a credersi esternamente ammalato e dotato della pigrizia del divoratore di libri che non darebbe mai mano alla penna della produzione, il Turati sarebbe forse divenuto un frutto secco o rimasto un autore stitico s'egli non avesse potuto fondere la sua esistenza con quella di una donna capace di agitargli lo spirito cogli stessi ideali e di piegarlo a un lavoro meno sbandato e pił omogeneo.
| |
S. Croce Como Dumolard Felice Cameroni Sole Pascal Turati
|