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      Ammiratore convinto del grande novatore della scienza sociale, egli è, necessariamente, entusiasta dei socialisti tedeschi - tali erompenti, dice lui, dal forte ceppo scientifico di Carlo Marx - i quali, con la loro marcia gloriosa, hanno infuturato il più grande fatto e l'esempio più significante della storia contemporanea.
      Cresciuto in un ambiente prefettizio - idolatrato dalla mamma - con un avvenire trionfale nel foro milanese - circondato dagli agi della vita, egli preferì discendere nell'agone sociale a lottare per l'esistenza collettiva - a sostenere i diritti dei proletari incatenati agli anelloni del salario - ad agitare il programma marxista che deve eliminare dalla società i ricchi e i poveri.
      Lui, coi nervi che gli impedivano un'occupazione costante, si dedicò a un lavoro febbrile - a un lavoro che aumentava in ragione degli anni - a un lavoro che lo cacciava dalla redazione sulla piattaforma pubblica - e dall'angolo del correttore di bozze nel girone legislativo.
      Perdutamente innamorato dei suoi ideali, egli non sospettava che sarebbe venuto il giorno in cui i suoi nemici - che sono anche i nostri - lo avrebbero sorpreso sulla strada e svaligiato di tutto.
      È stato mandato al reclusorio di Pallanza come incitatore di tumulti e come un demagogo che mette un po' di barricata in ogni frase. Ma non c'è nessuno che abbia mai sentito come lui tanta avversione per la turbolenza oratoria che sprona alla battaglia ogni minuto e per i "discorsi che acclamano la rivoluzione, sovreccitano i sentimenti delle masse e fanno sbottonare le stifelius di un delegato di pubblica sicurezza". No, il bavardage épouvantable degli esaltati non ha mai fatto parte del suo bagaglio di piattaforma.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Carlo Marx Pallanza