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      Gli altri la sbriciolarono.
      - Minestra!
      - Uh! - sentii dire.
      Era un uh! che traduceva la nausea.
      Nessuno di noi seppe ingoiare la minestra.
      Guardai che cosa mi aveva scodellato nella gamella. Vidi una pasta che mi pareva esalasse un non so che di tufaceo e una broda piena di scandellature gialle alla superficie. Tutto assieme mi faceva recere.
      L'afa del pomeriggio ci rendeva inquieti e ci faceva sentire un bisogno prepotente di uscire all'aria a vedere un po' di cielo.
      Verso sera, ci si portò una coperta, un fiaschetto d'acqua, un catino di zinco ed un asciugatoio ruvido a quadrettoni colorati, largo come un fazzoletto.
      Alle cinque, per noi era notte fatta. Ci augurammo la buona sera.
      Mi adagiai sul pagliericcio nella speranza di addormentarmi. La tristezza aumentava in ragione della oscurità che andava diffondendosi nel cubicolo.
      Verso le nove, sentii due mandate all'uscio del portico.
      Era la ronda.
      La ronda è composta di un sottocapo e di due guardie, una delle quali porta la lanterna fumosa e puzzolente.
      Entra in ogni cubicolo tre volte per notte, sbatte in faccia la luce della lanterna, dà un'occhiata alla finestra e alla ferriata e se ne va richiudendo l'uscio a chiave.
      Ci vogliono dei mesi prima di abituarsi a queste sorprese notturne.
      Romussi non poteva dormire che con dei narcotici. Gli sbatacchiamenti gli davano sui nervi.
      Il secondo giorno fu più triste. Ci eravamo alzati all'alba, chiamati dalla campana come gente che non aveva tempo da perdere e poi ci si era lasciati nella capponaia a cellucce senza darci un libro, senza dirci una parola, senza lasciarci sperare che all'indomani saremmo usciti.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302