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non pensarci che passeranno anche questi mesi!"
- Ciao, Biscella!
- Addio, Lumaghin!
- Giuliano, dormi bene!
Una sera ci sono cascato anch'io. Un detenuto sopra o vicino alla mia cella si mise a gridare:
- Numero tale?
- Che cosa hai fatto?
Non risposi.
- Buona sera.
- Buona notte.
Questo semplice dialogo mi fece affiggere sul dorso dell'uscio della mia cella che il direttore mi aveva punito con dieci giorni di pane ed acqua!
Dopo il Cellulare, il Castello e il cubicolo, la quinta camerata dell'ex convento dei frati, dell'ordine di san Domenico, ci parve un paradiso. la percorrevamo in lungo e in largo con delle fiatate di soddisfazione. Finalmente qui si respira! le pareti erano pulite, imbiancate di fresco, con del verde che girava tutto intorno a un metro d'altezza.
Le finestre a doppia inferriata, coi famosi cassoni, che non ci lasciavano vedere dall'alto che un profilo di Capra Zoppa, diventarono, per noi, delle aperture illimitate che lasciavano entrare aria a volumi. Le brande lungo il dorso del camerone assunsero la forma di letti elastici, con dei materassi sprimacciati, sui quali si poteva adagiare il corpo affranto dai patimenti, con un guanciale soffice che pareva appena uscito dalle mani del materassaio.
Guardavamo tutto con compiacenza. Paragonavamo l'asse al disopra delle brande, che correva lungo la parete, a una elegante guardaroba o a una comodissima dispensa. Ciascuno di noi aveva un largo spazio per ammonticchiarvi la biancheria e i libri, per mettervi il catinetto di zinco, la fiaschetta impagliata, la brocca per bere, la spazzola e la pettinina, la gamella con inciso il nostro numero di matricola e la pagnotta che ci avrebbero portata tepida due volte il giorno.
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