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L'affezione per sua sorella è nota a tutti coloro che leggono le sue lettere datate da Finalborgo e indirizzate alla "cara Teresa". Sono lettere castrate e scritte nella condizione di un uomo che non può dire quello che sente e che vuole. Ma in esse è il pathos di un'anima addolorata. C'è la tenerezza di chi soffre della separazione e della lontananza. E la sorella lo ricambia di pari affetto. La sua assenza è il suo strazio. Per liberarlo, ha messo sossopra mezzo mondo. Ha mandato una lunga epistola all'episcopato italiano - ha scritto al presidente dei ministri e ha fatto bussare, a insaputa del fratello, fino alle porte reali.
In mezzo a noi, don Davide, non ha mai fatto sentire il prete. Egli era un compagno che prendeva parte alla discussione. che si adattava in un modo mirabile alla vita comune, e che rideva delle nostre risate come un giovialone che non si ricorda della condanna.
STUDIO GALEOTTESCO
L'uguaglianza di trattamento non impediva ai forzati di avere una grande simpatia per gli inquilini della quinta camerata e di manifestarla tutte le volte che capitava loro l'occasione. Alla mattina e alla sera, per esempio, venti o trenta forzati addetti ai lavori del reclusorio passeggiavano nel cortile sotto le nostre finestre. Il tintinnìo delle loro catene ci chiamava al davanzale, cogli occhi tra il cassone e la ferriata. E loro, passeggiando, con dei cenni rapidi, con degli inchini che nessuno, all'infuori di noi, poteva avvertire, con dei palpeggiamenti di berretta che parevan grattamenti di capo, con dei rovesci d'occhi che mi andavano al cuore, o dei movimenti di labbra che sfuggivano alla sorveglianza, ci salutavano, ci davano il buon giorno e la buona sera, ci infondevano coraggio e ci traducevano la loro impotenza a fare qualche cosa per noi.
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Finalborgo Teresa Davide
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