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      Gli stava alle calcagna quando era in piedi, gli andava intorno quando era nell'altra stanza a scrivere e sedeva di notte, per delle ore, vicino al suo letto, a vegliare i suoi movimenti.
      Il 193 è vecchio, è nelle mani della giustizia dal 25 luglio 1873 e la sua condotta è sempre stata irreprensibile. Se io fossi nel ministro di grazia e giustizia direi: basta! E lo lascerei andare al suo paese di Ariano di Puglia, a morire in santa pace, sotto gli occhi di sua sorella, che gli vuol bene, tanto bene.
      Il nostro barbiere era un altro omicida, condannato a trenta anni. Nel reclusorio sembrava mite, gentile, afflitto soltanto di trovarsi in mezzo a tanta zavorra umana. Era pallido, emaciato, colle sfumature, intorno gli occhi, degli individui che portano nei polmoni i bacilli della morte. I suoi colpettini di tosse mi davano la sensazione penosa di essere accanto a un moribondo. La sua faccia era repulsiva per la carne scrofolosa gualcita dal coltello anatomico, per le contrazioni che gli avevano lasciato il segno sulle guance scarne e sulle palpebre rosse e senza peli.
      Ci considerava uomini superiori e ci radeva con una delicatezza femminile, raccontandoci sovente il suo amore sventurato.
      A diciannove anni si era ammogliato con una giovane che ne aveva diciotto. Dopo la cerimonia nuziale la sposa gli raccontò che un altro - un "civile" - l'aveva delibata a tredici.
      Fu una notte burrascosa quella della sua confessione. La poveretta gli buttava le braccia al collo piangendo dirottamente e gli domandava perdono.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Ariano Puglia