Dalla salita, credevamo tutti che fosse fuori, lontano qualche miglio dalla cinta cittadina. Mentre si facevano queste supposizioni, sentimmo le voci che fermarono i cavalli..
La discesa fu pił difficile. Uscendo dal buio, col fagotto nella mano legata con l'altra, e la catena intorno all'ascella tirata da quelli che precedono e seguono, si mette il piede sul predellino con la paura di scavigliare o di ruzzolare sul selciato.
Nella luce dei lampioni foschi e delle fiamme libere dei becchi a gas delle botteghe che sembravano cave, ero come disorientato. Ci volle uno strappo di catena per convincermi che facevo parte del convoglio di galera. La via era ripida e tortuosa. Si saliva lentamente e si passava attraverso ondate di luce sfacciata. La gente del quartiere non sembrava interessata di una "catena" che indubbiamente assomigliava alle altre degli altri giorni. Le donne rimanevano sedute in terra dinanzi la porta delle loro abitazioni o sul gradino all'entrata dei loro negozi, e gli uomini, in manica di camicia, continuavano a pipare e a chiacchierare tra di loro senza degnarci di un'occhiata. Carichi del fagotto, con la catenella che tirava ora indietro e ora innanzi, si saliva sudando. Al secondo svolto di via, incontrammo due portatrici con due pesi enormi sul capo che facevano tremolare i loro fianchi possenti. Non abituato a vedere le teste femminili calcate alla superficie da un quintale di roba, mi parve di passare attraverso un popolo barbaro che delle donne facesse dei ronzini.
| |
|