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      Ritornavano in cella a lavorare per un paio d'ore e poi, alle undici, ciascheduno usciva con la sedia, col tovagliolo, con la forchetta e col cucchiaio di legno e andava a far colazione nel cellone turatiano.
      La loro colazione alla forchetta era modestissima. Quando non ordinavano il risotto alla certosina o la polenta col fegato in comune, Romussi mangiava i tagliatelli al sugo e la costoletta coll'osso, Turati un piatto di carne e due uova strapazzate, De Andreis vi aggiungeva un po' di gorgonzola, Federici faceva precedere al pollo o al fegato la zuppa alla pavese e Valera alternava le uova al tegame con la pasta al burro ben cotta.
      La discussione si animava bevendo qualche bicchiere di vino buono delle bottiglie che mandavano gli amici, mangiando dei dolci che inviavano la mamma di Turati, o la signora di Federici o di Romussi - e fumando le sigarette che trovavano un po' dappertutto.
      Qualche volta capitavano loro, durante la giornata, dei cestelli di frutta fresca, dei panettoni che obbligavano De Andreis a mettere sul tavolo la bottiglia di barolo che Turati dimenticava nell'angolo.
      Il deputato di Milano non voleva mai bere. Egli diceva che gli astemi vivono pił a lungo e sani come corni. Ma si insisteva e lui beveva, versandoselo in gola come una medicina che gli faceva stralunare gli occhi.
      Il discorso eterno era la Cassazione che li teneva sugli aghi. Ma facciano presto!
      Mandateci in galera, dicevano, ma, fate presto in nome di Dio!
      Nessuno si lasciava cullare dalla speranza che i magistrati dall'alto tribunale avrebbero accolto il ricorso.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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