- Queste sì, disse De Andreis, che sono state sciupate!
- Rubate! dicevo io.
Dopo la parola della Cassazione fu davvero una pena. Nessuno era riuscito a dir loro il giorno della partenza e ogni sera si separavano coll'ambascia di non rivedersi più per del tempo.
- Ci manderanno assieme?
Turati aveva una pallida speranza di rimanere al Cellulare con la compagna della sua vita o di andare a Pallanza, dove la sua buona mamma avrebbe potuto andarlo a vedere di tanto in tanto senza fare un lungo viaggio. Romussi aveva paura di ritornare a Finalborgo, un luogo maledettamente umido, lontano da Milano, ove gli sarebbero ritornati i dolori artritici. Federici era considerato il fortunato dei fortunati. Lui aveva già scontato quattro mesi dei dodici che gli avevano appioppati e lo avrebbero lasciato a Milano, senza dubbio, a far compagnia al Maffi, il quale era entrato a fare il sesto nel cellone da pochi giorni. Forse non lo si sarebbe neppure galeottizzato.
- Te fortunato! gli dicevano.
Di giorno in giorno, ne passarono dodici. Dodici giorni di ansie crudeli. Facevano il pacco alla sera, dopo essersi salutati con un abbraccio fraterno, e lo sfacevano alla mattina, ricominciando il lavoro di suggestionarsi l'un l'altro.
L'ultima sera, disperati di non partire mai e determinati a non pensare più alla partenza, si proposero di mangiare tutti assieme il pollo alla cacciatora.
- Allora, disse Romussi, vedrete che ci manderanno via. Il pollo alla cacciatora è sempre stato l'ordine di partenza. In Castello abbiamo ordinato il pollo alla cacciatora e ci hanno fatto partire prima di mangiarlo.
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