Tra una lettera e l'altra c'è una pausa per dar tempo al mio compagno di battere due colpi e farmi sapere che ha capito.
In meno di dieci minuti io, colla rapidità delle battute, posso fargli sapere chi sono, che cosa ho fatto, quante volte sono stato condannato, se ho l'amante, se sono ammogliato, quando finirà la mia sentenza e in che modo uscirò senza finirla.
La conversazione termina sempre con una sfuriata di battute da una parte e dall'altra, come uno scambio di saluti.
Mi sono spiegato?
Di sera, verso l'ora della campana, le muraglie delle celle diventano i nostri pianoforti. I nostri pugni sprigionano fughe commosse, preludii che vanno nel sangue come tessuti di tenerezza, arie, duetti, finali che si diffondono nella grandiosità dell'ombra, come una fusione di poesia e di musica.
CARLO ROMUSSI
Non si sa se la sua mano e la sua testa c'entrino per qualche cosa nella sua sempiterna attività prodigiosa. Si sa ch'egli è una macchinetta automobile che riempie un foglio dopo l'altro tutte le volte che c'è da scrivere. Al suo tavolo di redazione voi vedete sempre proti e compositori che aspettano originali.
Supponete ch'egli stia scrivendo un articolo sulla esposizione artistica. Gli si dice che mancano ancora due pagine a compilare il numero unico per i bagni. Consegna il manoscritto sull'arte, corre difilato alla stazione balneare senza rivedere lo stampone per riattaccare il filo interrotto e pochi minuti dopo riprende l'opuscolo sui doveri dei cittadini ch'egli deve finire per domani, o la prefazione agli scritti di Carlo Cattaneo che ha promesso fino da ieri l'altro.
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Carlo Cattaneo
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