Il secondo sono stato capace di tenerlo in tasca fino alle sei di sera. Poi ho cominciato a scartocciarlo con l'intenzione di non rosicchiarne che un angolo e non ho smesso che a tavoletta finita. Ingordo!
Ho passato una buona notte e alla mattina mi sono messo a leggere di gusto. Credendo che fosse permesso a tutti di mangiare del cioccolatte, ho scritto subito a casa di mandarmene due chilogrammi. Son stato chiamato dal capo, il quale era incaricato dal direttore di farmi sapere che il cioccolatte non è nel regolamento. Al Federici venne dato perché era giunto come pacco postale e a sua insaputa. Se giungesse anche a me, a mia insaputa, si potrebbe fare lo stesso.
Ci sono state annunciate delle cassette di biscotti. Sarebbero stati provvidenziali. Li abbiamo aspettati per due giorni. La direzione ci ha fatto comunicare che potevamo rimandarli a chi ce li aveva spediti o regalarli all'ospedale di Finalborgo. Non potendo mangiarli noi, abbiamo votato per gli ammalati.
Federici ci tiene in piedi col suo cioccolatte. Non appena ci si porta la pagnotta, egli va da tutti con una tavoletta e li costringe ad accettarla. Una tavoletta di cioccolatte in galera, nella nostra condizione, val un tesoro. Pochi se ne disfarebbero con tanta sollecitudine. Bisogna avere del cuore per compiere sacrifici come questi.
Novità. Ci deve essere qualcuno che lavora per noi. Il periodo della fame che produce le allucinazioni è finito. È venuto un ordine che ci permette di spendere settantacinque centesimi al giorno.
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Federici Finalborgo
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