- Dopo l'assoluzione, gli domandai un giorno che facevamo colazione al Savini con un amico, che cosa ti è avvenuto?
- Nulla. Io, Seneci, Zavattari, del Vecchio, socialista, e Invernizzi, anarchico, fummo accompagnati a San Fedele da due agenti di P. S. in borghese, in due carrozze a nostre spese. Nella prima erano del Vecchio e Zavattari, nella seconda io e gli altri due. Alla porta della questura c'era la signora Seneci, colorata dalla morte, che aspettava il marito con la paura di perderlo un'altra volta.
L'lnvernizzi e il del Vecchio vennero rinchiusi in un camerotto per ordine del viceispettore Prina. Zavattari e Seneci vennero rilasciati dopo le solite formalità. Zavattari, quando l'ispettore Latini gli fece un'interrogazione, divenne un po' agitato. Non voleva sentire più niente. Voleva andarsene sui monti e non pensare al brutto sogno attraverso il quale era passato. Io fui sfrattato dalla provincia di Milano, entro le ventiquattro ore.
All'uscita trovai l'ing. Ongania, sindaco di Lecco, e l'avv. Ignazio Dell'Oro che mi aspettavano. Stavamo per andarcene, quando il vetturale che mi aveva condotto alla questura mi ricordò la corsa.
- Dica, e la corsa?
Non mi si avevano ancora restituiti i denari. Il mio amico sindaco tirò fuori subito il portafogli.
Vetturale: Scusi, lei è forse uno del processo dei giornalisti?
- Sissignore.
Diede una frustata al cavallo e via senza la corsa.
- Ho anch'io un cuore, diss'egli scappando.
NOTE:
(1) Avevo ragione. Nessuno si era ricordato di lei o ha saputo del suo atto eroico.
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