CARISSIMO ARTURO,
Non illuderti, non abbandonarti alle maliarde chimere se non vuoi pentirti domani. Lo so. A starsene in piazza a fanfalucare su ciò che può avvenire lontano una trentina di miglia, a scaldarsela sulle pagine dei romanzi e dei poeti, a lasciarsi civettare dai giornali che capitombolano nella bottega del buon speziale - il cervello diventa un focolaio. L'ambiente soffoca, i ciottoli delle straduzze a anguilla sembrano lime che raspano i piedi, e le povere case scalcinate, rottami accumulati. Tutto viene a noia. Il silenzio dei viali, il tramonto del sole, il vento che mugge attraverso gli alberi, la capinera che gorgheggia di lassù dal pioppo, il gregge che pascola belando, la contadinella che tira via i pugni sui fianchi poderosi. E la verzura lussureggiante, appare uno stupido verde che stanca la vista e la chiesa ove tante volte pregammo ginocchioni, un ricettaccolo di menzogne. Si galoppa dietro a un sogno accarezzato dalla mente giovanile, cullato dalle aspirazioni, sorretto dalle speranze. Ma quando usciamo dall'involucro, quando ci troviamo in mezzo a questa gente che si urta e si scarnifica e si tende la mano, quando ci sentiamo stretti dallo passioni che divampano senza trovar modo di soddisfarle, allora la desolazione piomba grigia sul cuore e gli occhi sbendati guardano storditi la rovina dell'edificio. Vorrei vederti, Arturo, quando scampana nell'anima la lugubre agonia dell'ideale! Lo so. Tu sei artista, hai delle idee che ti turbano i sonni, dei fremiti che ti rimescolano, del sangue che battaglia col tuo sangue e vorresti finirla colle quattrocento lire che ti consumano in una scuola ove insegnando incretinisci.
| |
Arturo
|