La pazienza veramente non è una delle mie doti. Ma a chi non scapperebbe? Tu sai in quali condizioni io sono venuto a Milano e perchè ci sono venuto. Se avessi avuto un pezzo di pane da rodere, avrei lasciato il nostro paesuccio il quale per quanto arido, per quanto angusto, racchiude memorie care, ricordi indelebili - esseri che amerò per tutta la vita? Ma io sono forse ingiusto. Per qual motivo il signor Gerolamo, che mi ha mostrato tanto interessamento, dovrebbe volere il mio male? Lui riverito, lui scodinzolinato, lui fatto segno alle compiacenze di quanti lo conoscono? O piuttosto non sarà anch'egli addolorato per non essere riuscito a incastrarmi in una pubblica azienda? Amo credere e credo che sia così. Non dir nulla a mia madre del contenuto di questa lettera. A lei scrivo roba dell'altro mondo: che sto bene - che il mio impiego è sicurissimo - e che sono occupatissimo per prepararmi agli esami. Figurati quante frottole. Ma giova spesso anche la menzogna. L'ho pure pregata di ridurmi la pensione da cinquanta a trenta lire. Una somma da stare allegro, quando tu sappia che spendo dieci lire solo per il letto. Un letto che vive in compagnia di molti altri popolati di pidocchi. Te lo confesso. È la cosa, che mi dia più fastidio. Non avere mai un minuto a sè. Essere costretto ad udire le chiacchiere più scipite, le narrazioni più banali.... Ascoltare quando pisciano, quando peteggiano e ne fanno sai! - quando russano. Vederti spalancate le finestre quando le vuoi chiuse, il chiaro quando ami il buio o viceversa è il massimo dei supplizî. Per leggere, esco da una delle dodici porte - m'insinuo pei sentieri e lungi dai rumori cittadini e dalle genti, mi rifaccio e mi inebrio di solitudine.
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Milano Gerolamo
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