La cosa era naturalissima. Ma che diresti se dopo trenta giorni di sgobbamento in cose che ti dirò in altra mia, e se dopo aver sciupato le fantasticherie copiando della brutta prosa avvocatesca e delle elucubrazioni letterarie da far venire il tifo, quell'onesto repubblicano, ti mettesse sul palmo venticinque lire? Venticinque lire coll'obbligo di essere onesto e di pagare i fogli di carta bollata che per accidente la tua penna sgorbiasse? Le cellule facciali mi si strinsero nella rabbia convulsa e poco mancò che non m'avventassi su quel miserabile che mi aveva veduto rosicchiare i crostini di pane che egli dimenticava sulle carte colazionando. Ma che ne sarebbe avvenuto? Misi in tasca la mesata ed uscii per non rientrarvi più. Avevo dunque ragione, caro Arturo, di spruzzarti d'acqua gelata, quando ti strapregavo, ti supplicavo di non muoverti? Non dir nulla a mia madre di tutto ciò. Essa mi creda sempre "impiegato" come crede che mi guadagni passabilmente il vitto. Poveretta!
CARO ARTURO,
Ascolta il mio apprentissage di copista. Appena sull'ultimo scalino del secondo piano, tiro un cordone a gnocchi che traduceva l'opulenza e aspetto quasi un quarto d'ora.
- Tu?
- Sissignore.
Lui, il mo principale, un'arringa nè salata, nè affumicata, due randelli malsagomati nelle mutande slacciate, un magruzzo di stomaco nella camicia da notte, gli occhi ingarbugliati dalla cispa, riunisce le labbra a culo di gallina e a piedi nudi, prende la rincorsa per un'altra stanza. Attendo gli ordini in una specie di anticamera a gomito, scurotta, che riceveva la luce cobalto da una finestruola a mezza ruota - ingombrata da un tavolo e una scranna.
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Arturo
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