Un'ora dopo, odo la voce dell'avvocato - una voce chioccia - che gargarizzava - che bastava essa sola a perdere una qualunque causa.
- Giovanotto! giovanotto! Lo vedo rovesciato sul ventre, attorcigliato come cadavere nelle coperte, le braccia imbracciate sul guanciale e la faccia nelle braccia.
- Come ti chiami?
- Giorgio.
- Giorgio! Intanto che hai niente da fare, puliscimi le scarpe. Le baldanze giovanili mi si risollevarono nel seno come un fascio d'aspidi da un cumulo di foglie. Lustrare le scarpe!
- Guarda che sono lì nel salotto vicino al canapè. Stetti in forse tra l'ubbidire e l'andarmene.
- Il lucido e le spazzole li troverai nell'angolo dell'anticamera. La fronte mi gocciolava di vergogna.
- Bada di non insudiciarmi gli elastici, sai?
Parlava come se il mio assentimento fosse stato inutile. Rientrato che fui colle scarpe, sdrucciolò dallo coltri e là, in un catino d'acqua abbondante, si risciaquò i membri proibiti, gesticolando e risucchiando nel brividìo come quando si va sotto alla doccia.
- Dammi una spazzolata ai calzoni. Brrr, che freddo!
- Ero copista o servitore? Coi calzoni vennero necessariamente il gilet e lo stifelius. Ti confesso che ogni spazzolata era un fiotto di rabbia che masticavo.
- Giorgio, versami un po' d'acqua. Quando fu attillato, profumato, cincischiato, passammo nello studio.
- Va dabbasso dalla portinaia a vedere se ci sono lettere.
Le porto disopra e ricevo un cencio per spolverare la poltrona a schienale rotondo, la scrivania dai piedi di leone e una scrivania a intarsi vecchia.
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