Scendo di nuovo dal caffettiere di contro a ordinargli la colazione e mentre lui taglia la bistecca e sbocconcella la micchettina al burro, mi fa leggere l'articolo di fondo della Perseveranza. Tre colonne e alcune righe a digiuno!
- Incubo.
- Incùbo.
- Ma se ti dico che si pronuncia incùbo!
- Scusi, signor avvocato, vuole che apra il vocabolario?
- Non ha bisogno di quegli arnesi, io. Incùbo.
Fortunatamente si scampanellava Vado, spalanco l'uscio e annuncio il signore. Un usuraio che pretendeva provocasse un mandato d'arresto contro un debitore.
- Un ladro! un furfante!
- Che ora è?
- Le undici.
- Intanto che corro alla Corte d'Appello mi copierai le pagine segnate in rosso.
Erano i Ricordi di Massimo d'Azeglio. Che sia egli un mattoide il mio principale? Ne trascrissi quarantadue. Quando gliele presentai gli feci vedere un ne di troppo nel libro.
- Asino, copia pure gli errori di questo gigante che ti metterai qualcosa nella zucca. Hum, che calligrafia! Hai bazzicato nelle sagrestie. Lo indovino da queste zampate di mesca. Porci i preti, non sanno nulla. Neppure il loro latino, sta sicuro. - "Ma per chi mi piglia quest'animale?"
- Un ne! È un pleonasmo. Tu non capisci queste finezze grammaticali. I fogli vennero incastrati nella cartella etichettata: I grandi del Risorgimento. Un centone di tutto ciò che il suo fiuto letterario trovava splendido. Aveva il debole per le tirate, per le sentenze, per i precetti. Quando leggeva, sparpagliava dei fogliolini sui quali noterellava la dizione, la frase, i modi di dire, i francesismi, i lombardismi, i fiorentinismi -talvolta confondendo questi per quelli.
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