Si buttò indietro un mazzo di capelli neri come la notte e discese fumando. La camicia le scappava da tutte le parti e la sottoveste lunga, inamidata ondeggiava gentilmente. Quando fu seduta davanti al fuoco, mise i piedini imbabucciati sugli alari, in guisa da costringere il calore a passare per il viottolo delle sue coscie. Abbrustolita, si alzò, girò sui fianchi adagio adagio, come un'anitra sul girarosto, a soffermò colle mani sulle reni a sentirne il bruciore, poi risedette. La cigaretta fumava l'ultimo sospiro. Doveva essere superstiziosa. Una buffata di fuoco le mise dell'allegria.
- Buon segno.
Avviluppata da quei bagliori, era divinamente superba.
- Dammi le calze. Non hai mai calzato alcuna donna?
- Nossignora.
- Ebbene, provati. Arrossii di nuovo fino alla punta dal naso.
- Quanti anni hai?
- Quindici.
- Sei molto indietro.
Il molle della carne sotto ai polpastrelli, mi procurava delle sensazioni che in allora non sapevo spiegarmi. Io ammattivo e lei mi lasciava fare.
- Su, accarezzamele fino al ginocchio.
Finito di allacciargliele, mi tirò brutalmente sulle ginocchia e mi schiacciò sulle labbra un bacio eterno. Ero infiammato come un tacchino.
- Signora!
- Ti ho fatto male?
E come se le avessi detto di continuare, mi prese tra le gambe, mi tirò sul ventre e mi applicò la bocca sulla mia, suggendomi con delle aspirazioni da sanguisuga. Mi sottrassi con un urto. Il tacco dell'avvocato rumoreggiava.
- Ti sei annoiata Giulietta? Non ho mai potuto mandarlo in pace. Con quella gente, ci vuole un po' di piega.
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Giulietta
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