Sono loro che fanno la pioggia e il bel tempo. La prese per le spalle e la baciò.
- Hai fame? Facciamo colazione?
- Bravo Giorgio, va giù a ordinarci la colazione per due. Vino di Borgogna e panini al burro.
Parola d'onore, io mi son messo nella testa che quella signora dimenticò un po' della sua bistecca per farmela assaggiare. Le sono anche adesso riconoscente.
Dal mio sfogliazzo.
Che mestizia rabbiosa quando piove! Un velo bigio che ondeggia alla superficie dei tetti, un umidaccio che invade lo vie, le botteghe, le case, gli abiti, le ossa. Una cappa plumbea sulla testa e nella testa, una carrata di nebbia, una indefinibile tristezza dappertutto. E la piovana mi flagella da tre giorni come un castigo di Dio! Sono una spugna dai capelli ai piedi. Macero, cotto, in dissoluzione. Le scarpe squinternate, scalchignano e fanno acqua. Il più crudele dei malanni che possa capitare ad un povero diavolo. Dacchè vivo di miseria, ho sempre sentito dire che val meglio essere a stomaco vuoto che a scarpe rotte. Sentenza che fa strada tra gli affamati. Come mi farebbe bene una fiammata di saggini! Mi ricordo di una giornata in cui fummo colti dal temporale. Eravamo io, Arturo, e il figlio dello speziale. Con una bracciata di fusti di meliga, accendemmo un falò che andava su in alto a sfidare le colonne che vi si rovesciavano sopra. Torno, grondanti, illuminati da un fuoco attizzato, che dirigeva le sue lingue al cielo incollerito, spiegavamo le dita a ventaglio e fumavamo come biancheria in crociera.
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Giorgio Borgogna Dio Arturo
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