Ma quei nomi amati, idolatrati, benedetti, mi fecero sentire un'angoscia che mi andava su fino al gorguzzúle. Oh io vorrei saper scrivere ciò che si prova, quando si è disperati come Giobbe, a udire il nome di coloro che furono e sono ancora tutto per noi - specie se non avete perduta una bricciola di quelle sante illusioni - cresciute vicino al grembiale della mamma o portate come reliquie nel cuore. Vi viene uno stranguglione che vi rigonfia gli occhi e non vi lascia piangere. Rina, non so se commossa, mi diede un buffetto sulla guancia come se avesse voluto stornarmi le lagrime. Avvenne invece il contrario. Mi misi a singhiozzare come un fanciullone.
- Ma sta zitto che passa la gente.
Piansi ancora più forte. Era l'ambascia che mi usciva liquefatta - era il martirio delle mie giornate negre, spietate, che riceveva il suo crisma. E poi ho a dirla? Quei goccioloni che mi passavano in bocca e mi sdrucciolavano per il collo caldi, mi facevano bene, mi sollevavano l'animo a una mestizia ineffabile e mi rendevano migliore in faccia a me stesso.
Vedendo che non aveva il fazzoletto, mi porse il suo.
- Grazie.
Voltammo giù per un viottolo che sbucava in via del Macello. Non appena mi fu possibile articolare qualche parola, le domandai dove si andava.
- A casa mia.
Indossavo una giacca consumata e lacera e avevo in testa un cappellaccio bisunto dall'ala mezzo strappata.
- Mi permetta di venire un'altra volta.
Vicini che fummo ad una porta imbiancata, senza portinaia, ingombra di cavalletti, mi prese pel braccio e mi tirò dietro fino al secondo piano.
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Giobbe Macello
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