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      Le due stanze a dir vero, non erano in armonia cogli abiti ch'essa indossava. Nella prima c'erano delle scranne nuove di lisca, un tavolo di abete greggio, una madia dello stesso legno, malamente pennellata di vernice e un pugno di legna nell'angolo. Nella seconda, un baule pezzato di lastre di latta ruggine, un letto col pagliericcio e coi cuscini di piuma, salvaguardato da una madonna a fianco, che contemplava dalla muraglia quella poverezza con immensa rassegnazione. Qua e là cianciafruscole, cipria, cavastivalucci, allacciaguanti e il resto della suppellettile femminile.
      Stordito e postrato com'ero, lì sui due piedi, non mi venne neanche un'idea. Ma all'indomani, per quanto innocente, per quanto grossolano, mi ero domandato il perchè di quella medaglia a due faccie. La seta dell'abito e il filugello ruvido e campagnolesco della coperta del letto: le calze finissime a maglia, serpeggiate da colori vivissimi, e quel povero paiuolo ammaccato e sduscito, seduto sur un focolare che aggiungeva una nota misera alla miseria. Ma è stata una pura e semplice interrogazione, senza sciogliere il problema.
      In un minuto si sbarazzò dell'eleganza che la circondava, indossò una veste di coltroncino inglese bianchissima, incollettata dal pizzo di Cantù e cosparsa di nastri a tre colori allo sparato, rimboccò le maniche some una massaia affacendata, rovesciò un secchiello d'acqua in una catinella di terraglia nera, scese ad attingerne un altro e rinchiuse l'uscio a catenaccio.
      - Qua, Giorgio.
      Non mi lasciò il tempo di discutere.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





Cantù Giorgio