Me la trovai alle reni.
- Che paura m'hai fatto, Rina!
Non mi sorrise e non mi rispose. La sua faccia era sbattuta come se ritornasse da un'orgia: labbra scolorate, guancie smorte, occhiaie bruciate.
- Ti senti forse male?
Si mise un dito sulla boccuccia come per dirmi: taci! Poi premette fortemente le tempia, quasi la sua testa contenesse un incendio. Che cosa poteva avere la piccina?
- Mangia, mi disse, additandomi il tavolo, e lasciami dormire fino a mezzogiorno.
Sedetti al desco e divorai tutto: mezza libbra di pane, un pezzo d'arrosto - una fetta di non so qual pasticcio, dei bomboni e una bottiglia di vino che m'inaffiò generosamente le budella.
Mano mano che trangugiavo un boccone e che tracannavo un bicchiere di barolino, respirava in me un'aria di vita che mi confortava dai lunghi e forzati esaurimenti. Ma avevo così da ingoiare per rifarmi delle assolute astinenze. Povero Giorgio! Oh io ti compiango sai, e ti compiango ora che scrivo senz'appetito. Qual peccato avevi tu commesso perchè ti si facesse tanto pitocco da invidiare la catena e il pasto al cane da guardia?
A mezzogiorno si bussò all'uscio. Chiamai immediatamente Rina.
Era un piccolo fattorino che portava la mia scarcerazione. Rina aveva pensato a tutto.
Ma quando e come potrò pagarti, buona Rina? Mi allungò la fronte e gliela baciai teneramente.
- Grazie, mi disse sospirando. Tu mi hai strapagata.
Festeggiammo l'abito in un'osteria del sobborgo di P. Magenta.
Ritornando, io le davo il braccio e lei vi si abbandonava sopra con piacere.
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Rina Giorgio Rina Rina Magenta
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