Della scema e del giratore di ruota nella stamperia Reale, non ho nulla a dire - perchè la vita di entrambi era tutta compendiata in quattro parole: lavoravano, mangiavano, dormivano e si vestivano. Il loro cuore dev'essere rimasto inattaccabile e la loro verginità dev'essere ritornata in grembo al Signore. Mi attengo quindi al soggetto principale che è il vedovo, figlio della nonna e padre di Gigia e Ferdinando.
Giovanni non era un Adone nel vero senso della parola. Ma preso in blocco, era un bell'uomo. Barba alla nazarena che gli accarezzava le guancie un po' pallide, una salva di capelli neri fini arricciolati che metteva voglia di soffocarvi le dita, occhioni neri come il temporale che avevano degli incendi e dei lampi, due spalle quadrate dalle quali uscivano la forza e la salute.
Tagliapietre in una delle sostre lungo il naviglio dei Fate-bene fratelli di porta Nuova, appena raggiunse la giornata di un franco e sessanta, si permise di innamorarsi di una trovatella e di sposarla. Come ho detto, io non ho conosciuta la morta, poichè dessa morì quando io litigavo ancora collo speziale e il curato del mio paese. Ma Gigia, quando mi parlava di lei colle lagrime nella voce, mi diceva sempre: Se sapesse com'era bella la mamma! E difatti doveva esserla, se il superbo tipo che le sopravvisse aveva qualche po' di rassomiglianza. Gigia a quattordici anni, aveva già della donna, cioè a dire era una fanciulla precoce. La ricchezza di due grosse trecce di capelli giù per la schiena, una faccia tonda, paffuta, rosea che rubava i baci, una boccuccia socchiusa come un anello schiacciato di corallo e un tronco poderosamente sviluppato che portava la bella testa e mostrava la rotondità di un seno pieno di promesse.
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