... Tutta una famiglia che si incalza furiosamente nella foppa. Gigia, Nando e il gira-ruota nella Stamperia Reale a un franco e venti al giorno, deperiscono visibilmente. Col lutto nell'anima e nel cuore, vanno da casa a bottega e da bottega a casa - come spettri - come gente che non è già più di questa terra. Ma io speravo - poiché sapevo che i grandi dolori o uccidono come il fulmine o non sono eterni. Che debbo dirvi? Una sera incontro Nando mezzo brillo, che mi butta le braccia al collo e mi bacia bagnandomi delle sue lagrime. Io me lo strinsi al petto senza dirgli una parola. Quell'espansione subitanea, quell'abbraccio.... Oh io non so tradurre che cosa provai.
- Animo, fatti coraggio, Nanduccio. Sei un uomo in fin dei conti.
- Sono un tisico. E per convincermi tossì e sotto ai riflessi biancastri del lampione sbatacchiò sul marciapiede uno sputa di sangue della larghezza di un napoleone d'argento.
- Sarà nulla, saranno i denti, saranno le gengive, gli dissi animato da quel brivido freddo che mi corse pel dorso. Tossì e risputacchiò sangue.
Gli strinsi la mano come un fratello, ma io stesso avevo perduto ogni speranza. Senza saperlo, senza volerlo, entrammo nella prima osteria dei Due Gradini al gomito di via S. Nicolao. Tracannammo due bicchieri filati di vino di sessanta e ci guardammo in faccia. Le avevamo infiammate.
- Non è la paura di morire che mi ha fatto piangere sai. Ma quella povera tosa... E qui gli si gonfiò il ciglio.
Glie ne versai un terzo bicchiere ch'egli trangugiò colle lagrime.
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