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      - Potrebbe darsi che ci pensasse, disse una delle figlie.
      - Brava. Oh ci pensa proprio. Intratanta lee l'è là che la po' minga vegnì fœùra, perchè l'è bona de baglì e la g'a minga i danee de pogà la baglidura.
      - Mi disorientavo. Quando le ragazze si sono sgravate non possono uscire?
      - Sicuro. Quello non maritate legalmente, debbono pagare trenta o quaranta lire, o prestare il loro latte alla comunanza da slattare. E siccome quasi nessuna delle ragazze ha quella somma, così rimangono prigioniere per dieci o dodici mesi.
      - Una carità un po'....
      - Pelosa
      - Altro che pelosa. Chi è quella minchiona che con quaranta lire in saccoccia, cercherebbe il letto a S. Caterina, dal momento che ci sono le levatrici che fanno pagare cinque lire al giorno tutto compreso? E chi è di noi che sta a letto dieci giorni? Non abbiamo lo cincischiature delle signore, noi!
     
     
     *

      * *
     
      Il mio avvocato, quel tale che mi dava la spazzola, lo stivale e la scopa, doveva lungo i disperati digiuni, apparirmi come un salvatore. Quante volte ti ho rimpianto e quante volte ti ho veduto, durante le fabbri fameliche, atteggiato a un ghigno diabolico, a un ghigno che era tutt'un oltraggio alla mia indigenza. Sì, fui un ingrato. Tu eri il mio granaio, il mio benefattore e tuttavia io ho potuto lasciarti come si lascia un nemico. Ma quand'è che si capisce che si sta bene, che sì è in grassa - pur scarseggiando di pane? Quando si ha perduto tutto. Quando si è discasi ancora due o tre gradini verso il regno della miseria che uccide.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





S. Caterina