Pagina (88/237)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Il mio padrone era inesorabile colla cuocitura dello zuccaro. Chi non stava attento, pagava del suo. Quando capivo dal fumo denso, che era ben bene tostato, gli vuotavo sopra una secchia d'acqua e col mestolo ne affrettavo la liquefazione. Serviva per colorire il cognac, la Francia, il caffè e altro.
      Tutte le volte che attendevo alla fusione dello zuccaro coll'acqua e col melasso, mi capitava alle spalle il principale, il quale subito subito prendeva in mano il sacco, ne metteva la bocca in un cassetto, lo scuoteva furiosamente e mi diceva:
      - Guarda animalaccio porco! Credi che io vada a rubarlo? Andiamo male! Chi non ha cura della roba altrui, non ha cura dalla propria. Te lo dico io, te lo dico. Sono le minuzie che conducono alla rovina. Ho visto delle Ditte andare alla malora e ne ho visto altre fiorire. Io non amo i grandi passi ma non amo neanche le soste. Avanti sempre.
      E non c'era verso di fargli capire che a scuoterlo tre giorni avrebbe dato delle invisibili granuccie. Sfido a fare diversamente con uno zuccaro unto e un sacco bisunto!
      L'imbuto che riceveva tutto, era quello incanalato sul fiascone dell' "amara." Vi si spremevano gli erbaggi fetidi destinati alla cisterna e le spugne imbevute di tutto ciò che cadeva in terra. Vi si scuoteva sopra il fondaccio del "mistrà," della "menta," del "persico," dell'"assenzio," del "triduo" e qualche volta il padrone vi faceva persino le sue pisciate.
      - Tutto roba che fa bon brœud. La resta pussèe savorida. Inscì!
      Come bevanda, io non saprei immaginare qualcosa di più eterogeneo e di più stomachevole che l'amara.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





Francia Ditte