Zuffolando, mi alzavo sulle stanghe nell'aria e godevo mezzo mondo a rifare l'altalena, puntando i piedi a terra. Era così bello vedermi solo, sotto a quel rovescio che incolleriva sempre più sull'acciottolato, mentre gli altri se ne stavano ricoverati sotto le arcate o sotto le porte, ad aspettare che il buon Dio si placasse.
Ma era deciso che doveva essermi fatale. Venerdì, io ti ho guardato e ti guarderò sempre come un coleroso!
Giungo in faccia al lotto, mentre passa una vettura. Vedo il pericolo e tento addossarmi al muro. Ma sì! la ruota dell'uno inciampa in quella dell'altra. Il carretto gira sterzando e addio liquori. Il vetturale, fulminato dalla pioggia, sacramenta con una bestemmia e un hip!, dà una frustata e riprende la corsa al galoppo. Volevo vociare, volevo gridare all'assassino, ma la gente assiepata sulla bottega dell'osteria e riparata colla sentinella sotto il portico del Palazzo di via Broletto, sgangherò dalle risa, come se io avessi fatto apposta per farla divertire. Il carretto all'aria, i vetri frantumati l'uno sull'altro, il cognac il mistrà, la menta, l'acquavite che discendevano colla pioggia nei fori del tombino, mi lasciavano stordito colle mani in mano. L'acqua sbellicava più rumorosa. Pareva che al disopra delle tettoie si azzuffasse e che dopo la collutazione si precipitasse a ondate. I più compassionevoli, ai lati, dicevano: cossa te vegnuu in di corna de andà a torna con sto temp del diavol? Il cuore mi si rompeva e le lagrime mi ritornavano in gola.
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Dio Palazzo Broletto
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