Rassegnato, slacciai la cordicelle, gettai indietro la stuoia e mi trovai innanzi alla rovina. Tutto era a catafascio, tutto era andato alla malora. Scuotendo i cesti per buttarne fuori i vetri pesti, vedevo il padrone cogli occhi iniettati di sangue, i pugni stretti, che mi si avventava allo stomaco. Ladro! Dal naufragio si salvò una bottiglietta d'alkermes. Oh va! E la scaraventai contro al muro. Va! Raddrizzai il carretto, misi in ordine le corbe, scossi la stuoia, la riattaccai e punto pensando che pioveva, m'incamminai verso il corso, attraversando il Monte Napoleone, il Borgo Nuovo, la via Fiori Chiari fin a quando mi parve che il giro che dovevo fare poteva essere compiuto. Ero deciso a non dire una parola dell'accaduto. Tanto più che mi avrebbe licenziato lo stesso. Con questa aggiunta: che dicendoglielo, mi avrebbe mandato via colle ossa malconcie.
Cacciai il carretto nella rimessa, accavallai i cesti nel solito stanzino, lasciai la blouse e il grembiale nell'angolo della biancheria sporca, staccai la mia giacca e diedi, come al solito, la buonasera alla padroncina.
- Voj Giorg, t'han pagaa nissun?
Provai come un tuffo alla testa.
- No.
All'indomani, il mio compagno, il mio lettaiuolo, mi urta brutalmente: sù sù che l'è tard. Io invece mi rovescio sul ventre per sottrarmi alla luce che gia imperversava per la stanza.
- Andem, Giorg, che l'è tard.
- Lassum stà che g'oo vacanza.
Ma lui, credendo ch'io parlassi dormendo, mi tirò giù per le gambe.
- Te gh'et nanca vergogna! Hin già quasi cinq'or, vuj!
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