- E se non paghi, diceva egli asciugandosi la fronte madida di sudore, ti cavo un occhio. Parola di liquorista. Hai settanta lire? Se mi dai settanta lire puoi passartela ancora liscia....
Il sangue del naso e della bocca m'impediva, volendo, di parlare.
- Parla, marmotta. Hai le settanta lire sì o no? E nota che non ti faccio pagar tutto. Tu mi hai sciupato più di cento lire. Ma "schiavo," io non ho il pelo sullo stomaco, io.
Dovevo piangere perchè la sua furia riscoppiò come un temporale.
- Ah tu credi che io paghi i creditori con delle lagrime, marmottone? To', almeno piglia questo; to', brutto sporcaccione, birbante. Almeno te ne ricorderai per un pezzo. Settanta lire! Furfante maledetto!
Coll'ultimo calcio nel fianco perdetti i sensiDal mio sfogliazzo.
Alloggiavo da un paio di settimane sotto il portico del Pulvinare.
- Che cosa fai? mi dissero una voce e un piede che puntava sul mio ventre.
Cercai di sgarbugliarmi gli occhi, ma ricaddi nel sonno.
- Duma! Duma!
Una mano prepotente mi afferrò pel colletto e mi piantò in piedi di peso.
- Che cosa facevi qui, plandron?
Mi allacciai l'ultimo bottone dei calzoni consumati.
- At parluma con ti, sastu, plandron? Comm'at ciami?
Stordito com'ero non mi venne il nome sulle labbra. Il più tozzo dei poliziotti mi lasciò andare una ditata sulle costole e l'altro mi strinse il braccio destro colla funicella tanto forte da farmi piegare sul fianco. Mi scappò un "ahi!"
- Sta su, ch'at la daruma noi la biava.
Dovevano essere le tre. Piazza Castello era deserta e in cielo si spegnevano mano mano le capocchie che scintillavano nel gran mare azzurro.
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Pulvinare Castello
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