... - Ma, aspettate, che devo dirvi come mi procacciavo il vitto.
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Nelle settimane pesantemente oziose, come ho detto altrove, io andavo in Biblioteca di Brera a leggere e a farci su dei pisolucci, i quali pisolucci mi rifacevano dal sonno perduto e dalle cene dimenticate. Ripigliata, dopo tanta assenza, l'abitudine di andarvici tutti i giorni, elessi il mio scranno vicino alla stufa.
Allo stesso tavolo, proprio faccia a faccia, sedeva un giovanotto che aveva la precisione dell'orologio. Entrava coll'ultimo tocco delle dieci e usciva al primo delle due. Si metteva davanti una montagnola di libri in quarto, li sfogliava, noterellava, vi si fermava sopra e si buttava indietro, le mani in tasca, gli occhi al soffitto, di chi rimastica strabiliato qualche sentenza d'autore che ponza. Per l'ora d'andarsene aveva riempito il dorso d'una quarantina di stampiglie, ch'egli trafugava, come me, nel momento, in cui il distributore ci portava i libri chiesti. Quali cose scrivesse non saprei dire. So che inchinava il naso come il miope e che colla penna d'oca scriveva minuto e affrettato. Alla mania di farsi credere uno studioso sul serio, aggiungeva un'intolleranza massima. Se un crocchio di studenti bisbigliava o se qualcuno russava, era lui il primo che scuoteva la lingua per chiamare l'attenzione del portiere. Povero Villa! Quando udiva quel sibilo a denti serrati, gli toccava lasciare il tagliacarte, togliere dalla sedia quel suo pancione a mappamondo e andare là, colla sua faccia larga e serena come una pagina manzoniana, a imporre a quelli e a questi il silenzio.
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Biblioteca Brera Villa
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