- Giorgio, muoviti che mi sono "impagliato."
E io zitto.
Giorgio, dico. Accidenti, vuoi una bastonata? Aspetta.
Sentii cadere un coso pesante sulle gambe. Doveva essere un mattone.
- Giorgio o Giorgio? Va all'inferno!
Le palpebre piegarono davanti alle esigenze fisiche o l'"addio mia bella addio," mi giungeva da lontano come un sospiro stracciato. Io voleva violentarmi, correre dietro al mio secchione, al secchione che mi dava il latte e il fienile, ma il sonno potč pił che il digiuno.
Quando mi svegliai, il cielo era tutto grigio che metteva freddo nelle reni. Le campane stornellavano dall'alto la loro gaiezza, i fumaioli scalcinati o scappellati risoffiavano il fumo a volate e in fondo all'aia, in margine alla pula dove spuleggiava il pollame e dove i tacchini facevano della coda una ventarola, i porci, nel loro steccato, si ubbriacavano nel voluttabro, tuffandovi il grifo e il deretano spelato e schifosamente grasso, ravvolgendosi colla schiena, perdendovisi con dei tru-tru di piacere.
Dal largo della tettoia, attraverso la campagna che mi distendeva la poverezza dell'inverno, spuntavano omiciattoli o donnuccie che gli alberi m'involavano o mi schiacciavano o mi tagliavano capricciosamente. Sotto i miei piedi sentivo tratto tratto gli augurii che il cascinale scambiava colla paisaneria delle case circostanti.
- Addio Peder, saludem la resgiora e la bagaia.
- Anca vu, neh?
- Ciao neh, Maria.
- Stee ben, fee i bon fest.
- A vegnii scią a trovamm stassira?
- Gavii minga Zepp, ona brasciada de melgasch per i me besti?
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Giorgio Peder Maria Zepp
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