E tu buona Ortensia, scalda la mamma al seno e raddoppia di tenerezza; dille che io l'idolatro sempre, ma non dirle che digiuno in questa giornata solenne. Ma taci dunque mamma, non vedi che non posso più, che mi si rompe il cuore? Suona il tocco. Ecco, sento questa immensa mascella che tripudia, questo immenso lavatoio che gorgoglia rosso e ne ascolto il ruzzo plateale, ma discerno ancora la mamma e la sorella, l'una fra le braccia dell'altra, tutte e due unite in un'ambascia, in un desiderio, in un voto. Crudeli, ecco che piango anch'io. Disgraziate lagrime, siate voi solo compagne dei mio natale. Benedetta la vostra fonte, benedette voi che inondandomi mi aiutate a sopportare rassegnato e quasi felice l'angoscia di un natale consumato sotto un mucchio di paglia - lontano da due creature a me care più che la vita. Io non ascolto più nulla, io sono languidamente spossato. Ho dormito? Quanto ore ho dormito? Che ora è? Che tempaccio! Viene giù una spruzzaglia che stanca. Ho fame - mi sento i crampi allo stomaco. Chi mi dà un cucchiaio di brodo? Vi darò il denaro ne ho del denaro io, sapete? E tu Stefano, dove sei Stefano dell'anima? Perchè non mi porti la solita razione di pane, perché non accorri?.... Non vedi che mi muoio, non senti che le mie viscere si contorcono in un brontolío sordo, in un brontolío senza tregua? Stefano, dammi questo pane, io muoio, io non ne posso più....
Dal mio sfogliazzo.
Una famiglia inglese mi accettò in qualità di domestico.
Le venni presentato dal fattorino dell'Agenzia Taccani di via Rebecchino(3) come "individuo" che sapeva il francese a "menadito.
| |
Ortensia Stefano Stefano Agenzia Taccani Rebecchino
|