Tolse da un armadio un paio di stivaletti, li squadrò squadrandomi i piedi e me li porse. Andavano a meraviglia. Mi regalò un paio di calzoni bristol nero, un gilet bianco che non perdeva la bava, una cravattuccia bianca e una redingote che mi stringeva alle spalle. Era tanto magro quel cuoco!
- No, no, mi disse allora impadronendosi della cravatta che avevo gualcita. E con un'altra mi fece una gala-principe.
- Grand merci.
Mi parve provasse un sentimento di soddisfazione. Dico mi parve perchè vedendomi in blocco, disse a mezza bocca: good, very good. Frase che sentivo tutti i minuti e in bocca a tutti.
Ritornai in sala da pranzo agghindato come uno sposo. Vi trovai Madama più avvenente, più formidabile. Il petto inquadrato da quattro strisce di pelli di lontra, il mazzocchio sormontato da una corona di brillanti che corruscavano i lobi che fiammeggiavano della più bell'acqua le forme delineate da una stoffa inglese che le andava sulla pelle.
- Ah, così, sì. Ora siete possibile.
Mi venne venne vicino e mi ravviò gentilmente i capelli ribellatisi alla prima pettinatura.
- Tieni a memoria una frase. Tutti i giorni, quando hai messa la zuppiera in tavola, spalanca l'uscio del salone con queste parole: Dinner is on the table.
- Non così. Il the va sibilato puntando la lingua ai lebbiali.
- The.
- Non ancora, ma imparerete. Ditela tutt'assieme.
- Dinner is on the table.
- Table, l'a quasi e. Alfabetico inglese. Va là che diventerai un vero englishman.
E passava dal tu al noi non civetteria buona, nostrale, che mi faceva tanto bene al cuore.
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Madama Dinner
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