- Giovanni, dammi la tettiera e portate le tazze.
Vi mise dentro un pugno di the, ve lo richiuse e mi ordinò di accendere.
- Adesso potete andare in cucina.
Non me lo feci dire due volte.
Non ti dimenticherò più o prima e saporita spanciata borghese. Io non aveva mai cibato tanta leccarderia e in tanta copia. Il cuoco, sempre calmo, sempre scialbato, mi accennò con un dito di sedere sulla sedia di contro alla sua. Egli si tagliava giù quello che voleva e poi dava il piatto a me - almeno due volte quello che mangiava lui. Assaggiai o meglio divorai di tutto. Del salume, delle ostriche, del cosciotto, del pollo, dell'insalata. Povero ventre disabusato ai cibi nutrienti, quanta gioia io ti versai con quelle carni prelibate e con quelle bicchierate di vino che pizzicava generosamente. Tirai una fiatata di soddisfazione. Mi sentivo rigonfiato, mi pareva di pesare il doppio e provavo le vampe alle guancie, negli occhi, alla testa. Che bella pacchiata, che bella pacchiata! Dio, buono cogli afflitti, misericordioso coi peccatori, grande coi poveri, mai come allora tu meritavi la preghiera mia più fervida. Ma ahimè, la sazietà, gemella del sonno, mi impiombò i sensi e non mi permise che il respiro di un sonno profondo.
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La zia Bounfond, insaccata nella tela russa, pretenziosamente incuffiata, intenta a giulebbarsi il caffè, mi fece capire mimicamente che madama a minuti entrava nel bagno. Un grazioso bagno venato di nero cha alzava la testiera leggiadra al disopra del blocco, in un gabinetto artistico, raccolto nel colore ambrato, caldo di reseda, sapientemente mobigliato.
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Bounfond
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