- Prendete, Giorgio.
- Grazie, Madama.
- Bevi! Io non voglio essere disubbidita, capisci?
Tutta stillante, la copersi col rocchetto.
- Asciugami!
Fui obbligato a premere.
- Così più forte.
*
* *
Due ore dopo, il paniere sul braccio, andai alla spesa con Madama.
- Siete stato qualche altra volta in Verziere?
- Ci sono passato.
Entrammo nel macellaio in S. Clemente. Madama si fermò sui quarti sanguinolenti, sugli spaccati rossi, puntando col dito, fiutando a narici aperte, come se fosse stata la più avveduta delle cuoche.
- Quello no, datemi questo. Io non mangio che gigot. Metteci un lombo di vitella per la zia.
Sotto la tettoia dell'uccellivendola, pareva in casa sua. Passava le manuccie dalle lodole ai fagiani, fino a quando le sembrava al tatto che il pennuto era veramente grassoccio. Allora se lo metteva rasente alla bocca, soffiava il bianchiccio e quasi quasi lo pesava sulle dita.
- Quanto volete di questi tordi?
- Cinquanta centesimi.
- Oh, cinquanta centesimi! Cari, cari. Quaranta bastano. E lì a tirarsi per la lesina.
- Vedi Giorgio, come bisogna fare con quelle canaglie? A sentirli ci rimettono sempre del loro.
E rideva, rideva mostrando la tastiera della sua bocca che scoppiava candida nel cinabro.
Ci trovammo nella gazzarra delle erbivendole. Pareva la regina della verzeria. Mentre il romorìo sordo usciva dagli ombrelloni e dalle baracche di legno e il polentiere si sgolava per avvertire cha era calda, appena voltolata sul tagliere, la mia signora, l'occhialino in funzione, si soffermava con delle compiacenze ad ammirare le rape nel verde del prezzemolo, le cipollette rinchiuse in un cerchio d'aglio o il crescione accanto al sedano o al cerfoglio.
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