Una sera, non so se per un verso di Byron o una pagina romantica del Lamartine, mi vidi davanti la mamma cogli occhi vitrei, le guancie emaciate e cadaveriche - la bocca sonata dalla morte. Potete pensare al tumulto cha mi ribolliva nel cervello. La faccia nel fazzoletto, piangevo coll'abbandono del fanciullo - soffocando i singhiozzi e le parole di dolore che mi venivano su dal cuore. Povera mamma! E senza avvedermene, senza una idea determinata, mi trovai sotto alla penna un foglio di carta.
Caro Arturo. Ti scrivo agitato. Credi tu ai sogni, ai fantasmi, ai presentimenti, ai nonnulla insoliti, alle scricchiolature di un armadio di notte, dimmi, credi? Io sì. Tanto più credo ora che ho veduto la mia cara mamma distesa sul letto - che mi guardava colle pupille istupidite dall'eterno sonno. Mio buon Arturo, leggi tu quello che scrivo? Non è vero che sono tutte menzogne e che io sono un pazzo? Se fosse morta... Oh io sento che non saprei sopravviverle. Che mi varrebbe questa vita da servitore, quando non avessi più mia madre - lei che mi vuole tanto bene....
Mi sentî sorpreso. Madama, la camicia che le sdrucciolava col profumo che perdeva, mi tolse tremante il foglio che avevo incominciato a sgorbiare. Mi parve che le sue guancie perdessero l'incarnato e che lo riavessero subito dopo che lesse il nome Arturo.
- Pazzerello - mi disse carezzandomi i capelli.
Più giù, leggendo "mia cara mamma" mi riaccarezzò e starei per dire che le si inumidirono le ciglia.
- Fanciullo, ma che ti è venuto in mente?
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