Qua, vieni qua dalla tua mammuccia. Le vuoi tanto bene?
E mi strinse così teneramente al seno, ch'io ricominciai il singhiozzo. Restammo lì qualche minuto. Lei, le braccia che mi cingevano, a stamparmi un bacio sulla fronte, lungo, intenso, incancellabile. Io, le mani sui suoi fianchi, la testa sdraiata sul suo seno che divampava, a beatarmi e a perdere di vista a poco a poco il cadavere della mamma - della povera mia mamma che avevo riveduta irrigidita.
- Va, va a letto.
Mi ribaciò più lungamente, più affettuosamente, più inenarrabilmente e scappò nella sua stanza, lasciandomi lì con un subbuglio di idee più infocate e il cuore più agitato di prima.
All'indomani, risvegliandomi, durai fatica a persuadermi che non era un sogno.
I signori facevano colazione. Monsieur, insisteva sur un'ala di cappone. Bounfond, inzuppava le fettuccie nell'uovo al latte e madama si stringeva le tempia come se avesse un gran male alla testa.
- Ti senti male, le disse in inglese il marito.
Clara ninnò la testa.
- Giorgio, andate dal sarto Prandoni, che è il sarto del signore, e fatevi "misurare" un vestito chic. Voglio che abbiate un abito elegante quando avrò bisogno che mi accompagnata al passeggio.
- What? domandò sbadigliando il signore.
- Nothing.
Lungo le giornate, mi chiamava scampanellando per delle inezie.
- Giorgio, che cosa facevi?
- Asciugavo i bicchieri.
- Pulisciti le mani nel mio catino.
E veniva là lei a darmi il sapone pregno di olezzi e a versarvi le goccie odorose.
Poi mi palpeggiava le guancie con civetteria, mi suggeva gli occhi nei suoi grand'occhi vellutati, mi avviluppava nelle trine del suo collo o mi tempestava le labbra di baci caldissimi.
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Prandoni
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