Finchè tu eri, finchè ti sapevo viva, io aveva del coraggio e mi sorrideva il pensiero di arrivare un giorno alle tue braccia, colla fortuna che ti avrebbe reso meno infelice il resto dell'esistenza. Ma ora che vuoi che io faccia solo nel mondo, con nessuna speranza di rivederti? Ma o Signore, che ti avevo pregato di tenermi viva la mamma, non ho io sempre, sempre creduto alla tua bontà divina? Perchè dunque mi sottoponi a un'altra prova più crudele, disgiungendomi da lei che adoravo, da lei che era il mio Dio in terra? O va, va; io ti abbandono disgustato. Io mi sottraggo alla tua fede e mi ribello alla religione che non sa dare che patimenti e dolori e non sa dir all'uomo che due parole: soffri e taci!
Girai, smemorato, mezzo paese. Conoscevo ogni ciottolo e tutto mi era diventato indiffente. Dove sei tu andata fresca poesia dell'adolescenza? Sotto alla finestra di una casuccia che signoreggiava per una bianchezza orribilmente bianca, ascoltai il buggerio della scolaresca paesana e inquieta. Bussai! Non mi parve lui. Un giovanotto vecchio dai capelli che ingrigiavano, dalle rughe incipienti, con un occhio velato dalla stanchezza, una barba irregolare, la ferula in mano, rosso rosso come se avesse perduta la pazienza sgridando.
- Scusi ho sbagliato, cercavo del signor Arturo.
- Parli, sono io.
Lo squadrai un'altra volta e lo riconobbi pel neo peloso alla coppa.
- Quanto siamo cambiati, gli dissi porgendogli la mano.
Me la strinse titubante.
- Giorgio, gli dovetti dire.
- Giorgio!
E i due afflitti si buttarono l'uno sul petto dell'altro.
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Dio Arturo
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